lunedì 27 ottobre 2008

ARCHITECTS_OPEN SPACE

Giovani architetti europei a confronto

Si è svolto il 17 ottobre presso la Casa dell’Architettura a Roma il primo di una serie di convegni organizzato dalla Consulta Giovanile degli Architetti di Roma, basato sul confronto tra giovani architetti europei (in questa occasione italiani e spagnoli) per discutere sui diversi modi di vivere l’architettura nei singoli paesi europei.
Il convegno, presieduto da Amedeo Schiattarella ( Presidente della Casa dell’Architettura), e con la partecipazione di sei giovani studi di architettura, tre italiani: Laq Architettura, Studio NA3, KK architettiassocciati; e tre spagnoli: Yic arquitectos, Estudio barozziveiga, Jekiff arquitectos.
Ogni rappresentante dei singoli studi ha presentato diversi progetti che per la maggior parte dei casi provengono da concorsi pubblici e solo raramente su commissione privata; molti altri sono esposizioni museali o di eventi.
Le questioni emerse da questo confronto hanno messo in evidenza il disagio dei giovani architetti (soprattutto italiani) che incontrano con la pubblica amministrazione, la quale spesso ostacola l’architettura contemporanea. I tempi che trascorrono tra la vincita di un concorso e la sua realizzazione; e addirittura di come sia vergognoso il fatto che i vincitori dei concorsi spesso non possono seguire la fase di realizzazione dell’opera. Un altro disagio che spesso i giovani architetti incontrano nella partecipazione ai concorsi è la scarsità di possibilità di vincita, poiché in competizione ci sono anche i grandi studi di architetti “famosi” che con molta facilità ne escono vincitori.
Ma il disagio più grande è quello di vivere la propria professione senza avere una propria identità che li distingua e li renda delle figure professionali importanti per la società, non si capisce più qual’ è il ruolo dell’architetto perché ormai altre figure professionali quali i geometri, gli ingegneri, i periti possono fare architettura, si è persa la distinzione tra edilizia e progettazione architettonica.
Altro problema è dovuto ad uno scarso investimento da parte dello Stato italiano sulla realizzazione di opere pubbliche; le uniche realizzate sono poche, realizzate in tempi molto lunghi e a molta distanza l’uno dall’altro, basti pensare che in altre capitali europee i tempi di realizzazione sono molto più rapidi.
Problema di un paese “ingessato” poiché pieno di storia e quindi spesso ostacolato dalla forte presenza di archeologia e di beni storici-architettonici.
Ultimo problema, e per questo non meno importante, è l’incapacità da parte dell’università italiana di assumere cambi generazionali.
Qual è stata la contro risposta da parte degli architetti spagnoli?
Negli ultimi dieci anni la Spagna ha vissuto un boom architettonico non indifferente e per questo temono di arrivare ad un livello di saturazione tale da doversi poi ritrovare nella nostra stessa situazione. Però loro hanno una visione diversa e più ampia di architettura data dalla collettività della società, la quale non rimane estranea ma si rende partecipe ed interessata all’architettura del loro paese.
Per quanto riguarda il discorso sulla pubblica amministrazione la loro è più flessibile, ossia, non interferisce sulle opere ma richiede un’ alta qualità del progetto in tempi molto brevi. Con la committenza privata tendono a rendere il cliente pienamente coinvolto nel progetto in modo tale da sentirselo loro e non solo del progettista.La figura professionale dell’architetto è vista come colui che deve saper fare bene il proprio lavoro e quindi l’architetto ha ciò che si merita.
Anche se per gli spagnoli i migliori architetti sono considerati quelli italiani!

giovedì 16 ottobre 2008

NUOVE TENDENZE PER GIOVANI DESIGNER

Il design ricopre ormai un ruolo predominante nella società contemporanea. Alla funzionalità e alle nuove tecnologie si inserisce il gusto per l’estetica, la forma accattivante, l’originalità. Questo processo si ripercuote soprattutto nell’ambiente bagno divenuto luogo di lusso e di piacere. Sono questi i temi caratterizzanti il Salone Internazionale della Ceramica per l’Architettura e l’Arredobagno (Cersaie 2008) , dove il gioco delle forme si incontra con l’armonia dei colori, la preziosità dei cristalli Swarovski e la pelle lavorata in capitonnè. In questa direzione la giovane designer Anika Elisabetta Luceri ha sviluppato i suoi progetti (prodotti dal Gruppo TreS), mettendo in evidenza l’eleganza e l’originalità del prodotto. Nasce così NIA una vasca giovane dall’animo competitivo, capace di adattarsi ad ogni tipo di esigenza di gusto e di stile.
La vasca non ricopre più solo un ruolo di comfort e di benessere bensì di un abito: adattabile ad ogni tipo di personalità.

    
Vasca NIA, Decoro Cross  
              
   
 Vasca New Classic Young, Decoro capitonnè

UN’ ARTE DIFFERENTE: L’ARTE ELETTRONICA

L’arte elettronica trae la propria metamorfica e ibrida identità dallo scambio continuo di linguaggi, forme, metodi, in dimensione sperimentale e di volta in volta intessuta di significati sociali spiritualistici, concettuali, narrativi, alla ricerca di effetti percettivi e di coinvolgimenti che sondano le molteplici possibilità delle invenzioni di situazioni, accadimenti, fantasmagorie.
Un’arte differente, dunque, da qualsiasi altra, non solo per la connessione strettissima con tecniche meccaniche di riproduzione e produzione delle immagini, diverse dalla fotografia e dal cinema, ma anche per la capacità di sviluppare un itinerari di sdoppiamenti di riflessi fra dentro e fuori, naturale ed artificiale, artista e spettatore, visibile e invisibile, memoria e immaginazione, presente e passato.
Una forma di espressione e comunicazione che richiede una riflessione sul modificarsi del senso dell’arte in un’epoca che impone un continuo confronto tra uomo e macchina.

L’arte elettronica nasce da una complessità di orientamenti. Infatti sin dalle prime esperienze si è delineato un orizzonte differenziato, aperto e versatile, pronto ad impossessarsi, decostruire e riassemblare tutti i modelli e metodi della produzione artistica: nei confronti del video in quanto strumento di produzione e riproduzione di immagini in movimento e di suoni, gli artisti hanno condotto una varietà di esperienze concentrate fondamentalmente sulla manipolazione delle emissioni e del dispositivo stesso.
Da un lato hanno assunto come punto di riferimento una realtà già data e conformata, un involucro pieno di tempo e di memoria su cui esercitare le proprie variazioni creative; dall’altro il funzionamento stesso del mezzo, la sua potenzialità tecnologica e le relative articolazioni linguistiche, utilizzando come uno strumento direttamente disponibile a riplasmarsi nella creazione di immagini autonome.

L’arte elettronica ha mutato ha mutato profondamente il senso e la nozione stessa di opera d’arte, eliminando i confini tra forme espressive diverse e portando a compimento la decostruzione, iniziata dalle avanguardie storiche, delle tradizionali opere di pittura e scultura come arti dello spazio, e di letteratura e poesia come arti del tempo.
Nelle immagini e nell’immaginario delle opere si immettono le suggestioni di musica, suoni, testi e parole, l’animazione del movimento, la fluidità del tempo di volta in volta espanso o contratto o moltiplicato, i suggerimenti di una percezione diversa più attiva e intensa sul piano del corpo e dei sensi.
Intessuta dalla dimensione mobile e incorporante dell’evento, l’arte elettronica sollecita nello spettatore una partecipazione, emotiva, mentale, fisica, fino a immetterlo all’interno dell’opera e a farlo intervenire nella responsabilità dei suoi funzionamenti e delle strategie degli artisti.
1. CONTAMINAZIONI E INTERAZIONI

Tutto questo si è avverato e avviene in un continuo confronto con le tradizioni, le tendenze e le tecniche dell’orizzonte artistico, con il cinema e la televisione, la performance e l’installazione, la pittura e la scultura, l’architettura, la musica, il teatro.
Si sono accostati al video, e alle sue svariate ibridazioni con l’informatica diversi artisti provenienti da diversi campi operativi.
Per tutti dunque l’esplorazione dei mezzi elettronici si configura come una ricerca, continua, versatile e polivalente; fondamentale è l’attitudine alla sperimentazione in attitudini diverse e ad una continua e intensa contaminazione e interazione di linguaggi.
2. ARTE ELETTRONICA. METAMORFOSI E METAFORE

Metamorfosi perché un carattere peculiare dell’arte elettronica è l’intrinseca mutabilità di immagini trattate come materia plasmabile che si trasforma dal proprio interno.
Tra i poli complementari di realtà e artificio l’arte elettronica inventa e propone, trasfigurandoli, tradizioni e miti dell’oggi, archetipi antichi e nuovi nella cui identità concorre la presenza delle profonde trasformazioni delle forme del comunicare, del pensate legate all’accelerazione tecnologica e alla globalizzazione del mondo attuale.
Video e videoinstallazione costituiscono un’arte ibrida, che trasmigra dall’immobilità al movimento, dall’oggetto all’immaterialità, dal compiuto al modificabile, dall’unicum al riproducibile, dal silenzio al suono, dal dato fisico alla fluidità, dal visibile all’invisibile.
Articolando in tal modo le suggestioni metaforiche proprie dell’arte della costruzione di un linguaggio che incorpora e rielabora il tempo e lo spazio, persone e natura, oggetti e ombre.
Le opere dell’arte elettronica si configurano come metafore del mutare dei rapporti e dei desideri all’interno di una comunicazione invasiva e stimolante.
3. IL CORPO COME LUOGO ARTISTICO

Così l’arte ha mutato il suo rapporto con il corpo confondendo arte e vita e abbattendo ogni barriera tradizionale.
I corpi umani sono divenuti corpi d’arte: non più oggetti esterni che si guardano dal di fuori, da rappresentare e interpretare, non più un semplice dato della realtà da narrare, da riprodurre, ma superfici pittoriche, cioè essi stessi materiali, mezzo per la produzione artistica.
L’uso del corpo come espressione artistica come atto di “rottura”, di svelamento di tabù collettivi di trasgressione di divieti; comportando anche la messa in scena brutale e violenta della sofferenza.
Arte e vita coincidono in una situazione effimera in cui il video si incarica di memorizzare con la versatilità, la “diretta” e la riproducibilità immediata che gli sono proprie.
Il corpo è carne e coscienza, azione e passione, immagine che rimanda tanto al tema dell’identità personale quanto al rapporto tra individuo-società, libertà-restrizione, interno-estreno, ed è qualcosa da manipolare come insegna la tradizione performativa della Body Art.
Infine il corpo si adegua alle mode, ai condizionamenti del paesaggio e del contesto, alla bellezza finta e distinta dell’ omologazione, perché il corpo è la frammentazione del nostro quotidiano.


Paul Valery diceva che niente è più profondo del corpo
4.ARTE ELETTRONICA. MUSICA ELETTRONICA

A partire dagli anni Cinquanta si sviluppa l’esperienza della musica elettronica, che offre al compositore l’enorme disponibilità di frequenze, microintervalli, timbri e impasti sonori nuovi producibili con la moderna tecnologia elettroacustica.
La musica elettronica si avvale soltanto di suoni generati direttamente dalle apparecchiature elettroacustiche, nelle quali le vibrazioni elettriche divengono vibrazioni sonore. I suoni che ne derivano sono nuovi e sintetici.
Il linguaggio musicale subisce delle trasformazioni nel sistema tradizionale di notazione attraverso l’elemento “tempo” e “ritmo”.
Si passa all’abolizione di tali concetti, si hanno pertanto partiture di tempo “libere”, nelle quali le stanghette di battuta sono abolite e la durata viene calcolata solo per l’intero arco della composizione.
Ulteriori sviluppi hanno condotto ad una identificazione del tempo graficamente espresso: nel qual caso i valori di durata sono indicati dalla distanza che materialmente intercorre fra le note e non più con i segni convenzionali.
Esponente di questa tendenza musicale è il singolare compositore statunitense John Cage che intorno agli anni Quaranta definì la sua poetica, caratterizzata principalmente da casualità e non intenzionalità dell’intervento artistico.
Attraverso l’abolizione dei canoni musicali John Cage (1952) approda alla massima astrazione musicale (ispirato dai quadri bianchi di Rauschenberg). La sua opera celeberrima è 4’33’’ dove si richiede agli esecutori di preparare tutto l’occorrente per far musica, ma poi di tacere per 4’33’’ affinché il pubblico possa ascoltare i rumori della sala da concerto. La musica quindi diviene un incidente di percorso che scaturisce dal contatto vivo casuale con oggetti quotidiani, immessi in un presente sempre mutevole.
Il brano è stato eseguito per la prima volta da David Tudor a Woodstock nel 1952. egli segnò l’inizio e la fine di ogni movimento aprendo e chiudendo il coperchio della tastiera (la parola “tacet” è usata nelle parti orchestrali per indicare che per un certo numero di battute lo strumento non deve suonare). Il primo movimento durò 33’’, il secondo 2’40’’ e il terzo 1’20’’.
5. BILL VIOLA

L’artista statunitense Bill Viola (New York,1951) è una delle figure più importanti della Video Art contemporanea. E’ considerato un pioniere di questa forma espressiva, insieme a Nam June Paik e a Gary Hill, nella quale si è sempre espresso con coerenza e sobrietà, senza mai cadere in eccessivi effetti spettacolari e cercando un riferimento con l’arte tradizionale, con la quale ha mantenuto un profondo dialogo.
Il video diventa nelle sue opere, dai tapes alle installazioni, il veicolo di esplorazioni di un vissuto interiorizzato, di situazioni esistenziali reali o inconscie, di analisi focalizzate in una introspettiva segnata da una mitologizzante spiritualità.
Viola parte da ricerche sul rapporto tra la musica elettronica e l’immagine.
Le immagini quindi prodotte dai video sono tutte manifestazioni di un’arte che ha scoperto la materia non solo come strumento e corpo dell’idea, ma come oggetto e fine dell’opera stessa. Cosicché l’opera acquista carattere d’arte nel gesto dell’autore che coglie l’oggetto nel fruire casuale della realtà e lo isola dal suo contesto.

Dopo le iniziali esperienze degli anni Settanta, negli Stati Uniti (lavora con il gruppo musicale Rain Forest di David Tudor e al Synapse Video Center di Siracuse)e in Italia (tecnico presso Art/Tapes/22 a Firenze), seguono numerosi viaggi, l’interesse per il misticismo e le filosofie orientali.
La materializzazione della memoria, la dilatazione del tempo, lo scavalcamento dei confini della percezione comune, l’attitudine a trattare il suono come materia plastica e le immagini come onde sonore sono temi ricorrenti nelle sue opere.
Fin dai primi lavori degli anni Settanta l’artista inventa immagini e modi di percezione che trasportano in una dimensione al di là che è ciò materialmente visibile, attingendo ai grandi esempi del passato e alle quotidiane emozioni della vita presente, alla natura e all’uomo.

In Chott-el-Djerid, un videotape del 1979, protagonista è la luce-calore del deserto, in cui vacillano i contorni, vibrano i colori e le forme; è il miraggio e l’allucinazione di una perturbante condizione della natura che obbliga come afferma Viola, “a rimettere in questione la nostra percezione della realtà… E’ come se ci ritrovasse, fisicamente, nel sogno di un altro”

In molti lavori l’artista si concentra in una meditazione sulle condizioni spirituali dell’esistenza- sul tempo e sulla memoria- tra gli estremi della nascita e della morte.
Uno dei temi ricorrenti in Viola è l’ascesa alla vita e alla coscienza, resa attraverso la metafora di una figura umana che fluttua passivamente sott’acqua, lentamente, silenziosamente, e che emerge all’aria con fragore, come se risalisse da inquiete e immemore lontananze; si trova nel pannello centrale di Nantes Tryptch (1992), in The Messenger (1996) e in The Crossing (1996).

In Nantes Tryptch l’artista qui riesce a trovare un legame fra la tecnologia e i più antichi interressi dell’uomo: la nascita rimane uno dei più grandi miracoli, la morte rimane la paura per eccellenza.
Viola riesce a confrontarsi con il tema morte/nascita attraverso le immagini di una donna agonizzante e di un neonato, con i paesaggi, con i movimenti di un uomo ripresi sott’acqua. Tutte le immagini sono collegate acusticamente da un respiro pesante che si sente regolarmente.
Al centro di Nantes Tryptch sta l’inquieto dormiente, nella cui coscienza e subcoscienza si incidono in maniera indelebile la morte e la nascita; un dormiente, in cui non è difficile riconoscere l’artista.

In The Messenger la sequenza dell’immagine si ripete continuamente con l’uomo che riemerge e riaffonda con un ritmo perpetuo, descrivendo il ciclo costante della nascita e della morte, funzionando come un ingranaggio della respirazione dello spazio.

Un’altra componente importante del lavoro di Viola è il riferimento alla storia dell’arte come fonte di suggestioni iconografiche, compositive e formali da interpretare nella specificità del proprio linguaggio e sulla base del senso profondo dell’arte come esperienza spirituale. Questo tipo di ricerca si ritrova negli effetti pittorici di molti suoi lavori come nelle evocazione degli antichi polittici o nel formato di molte istallazioni, e raggiunge consapevole completezza nel celebre The Greeting (1995), presentato alla 46° Biennale di Venezia come parte di un insieme di cinque installazioni intitolate “Buried Secretes”.

L’ispirazione per The Greeting viene dal pittore manierista Jacopo da Pontormo, in particolare dal dipinto “L’Annunciazione” che ritrae il momento nel quale Maria annuncia a Elisabetta del “divino bambino”. L’opera di Viola inizia con due donne – una più giovane e una più anziana – intente nella conversazione. Dopo alcuni minuti trascorsi in tale situazione, una terza donna entra in scena e interrompe il dialogo, rivolgendo un ringraziamento alla donna più anziana con un gesto più esplicito.
Con l’espressione delle posture facciali diventa evidente che la donna più giovane la conosce bene mentre l’altra, meno o forse non abbastanza. La terza donna bisbiglia all’orecchio della sua amica mentre l’abbraccia, isolando ulteriormente la nuova arrivata.
Tuttavia, Viola ,non era interessato alla interpretazione dell’annunciazione ma desiderava usare il quadro come “guida per fare qualcosa di nuovo” egli, infatti, cattura lo spirito di tale pittura, come si vede negli indumenti riccamente colorati delle donne, ma lo trasporta in una visione e condizione contemporanea, che immagina uno sfondo urbano con fabbricati industriali.
Filmato come unico scatto eseguito da una macchina fotografica fissa e presentata all’osservatore come un movimento lento che intensifica i movimenti, i gesti e le emozioni delle figure. Questa introduzione dell’immagine in movimento che intensifica la percezione del tempo può considerarsi tanto determinante quanto l’affermazione della prospettiva da parte di Brunelleschi. L’opera mostra la sua grandezza anche nella esasperata dilatazione del tempo che realizza (dilata circa 45 secondi reali fino a portarli a 10 minuti di proiezione).
E’ come se Bill Viola avesse passato La visitazione alla “moviola”.

Esplorazione psicologica, svolgimento lentissimo, raffinatezza di immagini, di allestimenti semplificati, di citazioni di antiche raffigurazioni artistiche si coagulano anche in altre opere recenti in cui Viola configura complessi cicli narrativi e simbolici come se fossero affreschi elettronici (Going Forth By Day 2002)
L’opera è composta da cinque proiezioni di VDH (High Definition Video) di circa 35’ durante i quali vengono esplorati i differenti stati di nascita, morte, resurrezione. I titoli dei differenti lavori: “Fire/Birth”, “The Path”, “The Deluge”, “The Voyage”, “First Light”, evocano la dimensione mitica e atemporale. L’opera sembra un grande affresco in “movimento” che dimostra la capacità di riuscire a recuperare l’eredità del passato. Utilizza quale fonte di ispirazione il ciclo di affreschi realizzati da Giotto per la Cappella degli Scrovegni di Padova.
Sembra un grande affresco in “movimento”, che dimostra la capacità dell’artista di riprendere il passato.

Nella sua ultima mostra, Bill Viola: The Passions (varie sedi 2003-2004), presenta ben tredici lavori diversi sul tema della raffigurazione delle emozioni, rielaborando teorie e modelli iconografici della pittura tra il Quattrocento e il Seicento.

mercoledì 15 ottobre 2008

KANDINSKIJ E LA MUSICA

INTRODUZIONE

L'argomento di questo breve saggio è il rapporto tra pittura e musica mettendo in evidenza come le due discipline assumono uno stesso valore di importanza fra le diverse arti. Non esiste più una gerarchia formale, ma ognuna è indispensabile dall'altra. Ha origine così l'ideale di un'arte totale, intesa come la fusione delle varie manifestazioni artistiche.

A tutti gli amatori della pittura e della musica: BUONA LETTURA.


"Bello è ciò che deriva da una necessità psichica interiore. Bello è ciò che è interiormente bello [...]. Ogni forma ha un contenuto interiore. L'armonia delle forme è fondata su un principio: l'efficace contatto con l'anima [...]"
Wassily Kandinsky
1. DALL’ESPRESSIONISMO ALL’ASTRATTISMO

L’astrattismo è il momento conclusivo iniziato con il romanticismo, nel quale l’interesse pittorico mirava all’interiorità, al sentimento. Soprattutto con il Cubismo e l’Espressionismo si ha la nascita della quarta dimensione, ossia quella psichica; che coglie gli aspetti interiori dell’uomo. In particolare l’espressionismo opera una critica ai valori della tradizione e alle sue convenzioni estetiche, esprimendosi in forme di esaltata soggettività, che finiscono con l’assumere la libertà come rivelatrice dell’angoscia che causa il vivere in un mondo caratterizzato, sul piano sociale, morale ed estetico; da una prevalenza degli elementi sovrastrutturali, indicanti la manifestazione dell’essere. La “sinestesia” è lo strumento esteticamente privilegiato per penetrare i recessi più intimi della realtà. Opera attraverso un linguaggio violento, esasperato e polemico basato sulla deformazione appariscente degli aspetti della realtà; furono chiarite da Kirkner nel Manifesto del Ponte (Die Brucke), associazione di artisti e amatori fondata a Dresda nel 1905 e sciolto nel 1913.
All’espressionismo psicologico del Ponte, seguì l’espressionismo astratto del Cavaliere Azzurro, gruppo fondato a Monaco da Kandinskij nel 1911. sotto l’impulso di Kandinskij i protagonisti del Cavaliere Azzurro si volsero verso nuovi modi espresseivi, verso la creazione di spazi immaginari, verso l’astrazione della realtà.
La rivista il Cavaliere Azzurro ebbe tra i suoi collaboratori anche musicisti come Schömberg. Nei suoi lavori presero forma gli atteggiamenti stilistici tipici della musica espressionistica; la tecnica atonale o pantonale e la concezione dell’opera d’arte come espressione del grido originario dell’animo in preda all’orrore, all’angoscia.



Il grido, E. Munch, 1893, olio su tela, Oslo Najonalgalleriet



Lo sguardo rosso, A. 
Schömberg, 1910, olio su tela, Monaco di Baciera, Stadtische Galerie.
Il musicista era anche pittore; è evidente l’influenza espressionistica nella formazione pittorica oltre che musicale.
2. PITTURA E MUSICA

L’astrattismo spinge fino in fondo la tesi: se l’arte non è rappresentazione del mondo esteriore, ma solo estrinsecazione di quello intimo (sia pure originato dal continuo impatto con ciò che ci circonda), si deve avere il coraggio di andare oltre ciò che è già stato fatto (dall’impressionismo, ad esempio) e non limitarsi a proiettare la nostra vita interiore negli oggetti reali dipinti; ma abolire completamente questi ultimi, visualizzando con forme, linee e colori il complesso dei sentimenti che si agitano dentro ciascuno di noi, agendo psicologicamente sull’inconscio dello spettatore attraverso il suo occhio, così come il musicista agisce sull’inconscio dell’ascoltatore attraverso il suo udito mediante il rapporto reciproco delle note.
Il pittore deve svincolarsi dalle riproduzioni di una tematica oggettiva esteriore per comunicare unicamente il proprio “io”, accostandosi con ciò alla situazione del musicista.
Questi, infatti, non vincolati da banali imitazioni naturalistiche, manipola liberamente i suoni.
L’Astrattismo fa un discorso analogo a quello della musica, basandosi su relazioni reciproche di colori, di luci, di linee, di spazi, di volumi.
L’analogia fra pittura e musica è spontanea, ossia esiste una totale parentela tra musica e immagine che si giunge perfino a scambiarsi reciprocamente i termini: si parla in musica di suoni “chiari” o “scuri” e, viceversa, si parla nelle arti visive di “tonalità”, di colori “squillanti”, “cantanti” e così via. Anche in Knadinskij si trova nella specificità dei linguaggi e delle forme musicali gli stimoli per una rielaborazione del tutto originale della forma pittorica e dei rispettivi linguaggi espressivi. Pur non occupandosi in maniera esclusiva di musica, Kandinskij se ne serve come modello.
L’interesse per la musica è dunque un fatto significativo nella pratica artistica e teorica di Kandinskij; si pensi all’uso dei termini tratti dal mondo musicale per titolare molti dei suoi quadri astratti: impressioni, improvvisazioni, composizioni; oppure alla distinzione tra strutture figurative melodiche e sinfoniche. La stessa percezione della realtà è di ordine pittorico-musicale: le sue impressioni visive si tramutano in eventi.
In quell’occasione la visione del pittore si traduce in un’esperienza psichica di ordine musicale – uditivo, in una vera e propria “sinfonia” di colori.
Esso non deve essere tuttavia inteso come relazione diretta tra le due discipline nel senso di una traduzione di fatti musicali in specifiche opere pittoriche o viceversa. E’ chiaro che per Kandinskij e per Schönberg non si tratta di musicare la pittura o di dipingere la musica (esempio di sinestesia).
Ma può anche accadere il processo inverso ovvero la traduzione percettiva di fatti musicali in elemneti pittorici (linee, colori). Kandinskij nello scritto autobiografico “Sguardo al passato” descrive come il linguaggio musicale offre al pittore un vocabolario efficace per esprimere le proprie impressioni visive: “Mosca si fonde in questo sole in una macchia che mette in vibrazione il nostro intimo, l’anima intera come una tuba impazzita. No, non è questa l’uniformità in rosso l’opera più bella! Essa è soltanto l’accordo finale della sinfonia che avvia intensamente ogni colore, che fa suonare Mosca come il fortissimo di un’orchestra gigante”.



Mosca 1, 1916; Mosca, Galleria Tret’jakov

Kandinskij si muove sempre all’interno della pittura, non si può perciò sostenere una diretta influenza della musica nel linguaggio dell’astrattismo kandinskiano: in nessun caso l’analisi dei suoni viene proposta come punto di partenza metodico della teoria delle forme e dei colori.
Agli inizi del ‘900 il problema viene affrontato direttamente non soltanto da parte dei pittori ma anche dai musicisti come: Arnold Schönberg, il creatore di una delle più importanti tecniche compositive moderne, la dodecafonia, in Schönberg, che oltre ad essere musicista è anche pittore, inventa la Klangfarbenmelodie (“melodia costituita dal colore dei suoni), una melodia in cui, alla tradizionale successione di timbri sonori in rapporto reciproco.
L’arte è astratta. Anche la pittura dovrà essere astratta, come la musica; o come l’architettura; perché anche l’architettura, malgrado la funzione cui è destinata è una libera composizione di volumi e di spazi senza nessun obbligo imitativo. Così la pittura dovrà essere solo se stessa, ne copia di qualcosa di estraneo, pittura pura.

3. L’ASTRATTISMO E IL MODELLO MUSICALE

Kandinskij vede nella musica quell’arte che, per eccellenza, è riuscita a rendere manifesto il proprio contenuto interiore: la musica serve dunque alla pittura come modello da seguire per un radicale rinnovamento in direzione dell’interiorità. “Con poche eccezioni e deviazioni la musica già da alcuni secoli è l’arte che non ha adeguato i suoi mezzi per ritrarre le manifestazioni della natura, bensì per assumere la vita psichica dell’artista e per creare una vita peculiare dei suoni musicali [...]. Un’arte deve imparare da un’altra arte in modo che quest’ultima proceda coi mezzi che le sono propri e deve imparare ciò, per usare poi nello stesso modo i propri mezzi secondo il proprio principio, ciò nel proprio principio che ad essa sola è peculiare” (Lo spirituale nell’arte).
Quello che Kandinskij vuole rendere manifesto nel quadro è la presenza di una dimensione temporale di una durata nel tempo, tale da consentire l’inserimento di uno spazio- psichico, soglia dell’incontro tra la propria impressione e quello dello spettatore: l’opera deve essere scoperta passo per passo (quasi seguendo la lettura di uno spartito musicale). Il pittore volontariamente complica la lettura dei propri dipinti al fine di inventare gli spettatori ad un percorso percettivo di ordine temporale. Inserendo pienamente la percezione del dipinto all’interno della dimensione temporale Kandinskij opera una sorta di equazione tra ascolto di un brano musicale e lettura dell’immagine pittorica: la perdita del carattere di reversibilità propria dello spazio pittorico tradizionale conduce ad una sorte di neutralizzazione della componente figurativa nell’oggetto pittorico e stabilisce la possibilità dell’avvicinamento programmatico tra le due arti.
L’artista si muove sempre all’interno di un orizzonte strettamente pittorico e sono le risposte a specifici problemi pittorici a condurlo sulla strada di nuove soluzioni formali. Anche l’organizzazione dello spazio figurativo per coordinata armonia cromatico – qualitativa è pienamente inserita all’interno dei principi dell’astrattismo, derivando dalla definizione della pittura come orizzonte delle risonanze interiori dei singoli elementi pittorici.



Quadro con arco nero, olio su tela, 1912, Parigi, Centre Pompidou
In questo dipinto si ha una tensione drammatica che emerge dal contrasto fra le diverse macchie di colore. La zona sinistra è determinata dal colore blu, colore della massima spiritualità, minacciato dalle macchia rossa a destra. La lotta fra le due forme è simboleggiata dall’arco nero che le unisce e le risolve nella macchia violacea in alto, punto di equilibrio e di fusione cromatica. Quella dell’arco è una figura che compare spesso nelle opere di Kandinskij. Simbolo di tensione e dinamismo ed è un elemento plastico, ma anche fluido.
4. I COLORI E LE FORME IN KANDINSKIJ

La forma per Kandinskij è vuota se non scaturisce emozioni dall’interiorità del pittore. Si ha la sequenza di emotività che unisce in modo continuo l’artista e lo spettatore (artista-percezione-emozione-spettatore). Il colore e la forma possiedono una “sonorità interiore” che viene trasmessa attraverso il quadro, sicche questo rappresenti degli oggetti, una storia, un paesaggio, oppure costituisca un mondo di forme autonome, completamente separate dai fenomeni naturali.
Questo è il nucleo del saggio “Lo spirituale nell’arte” nel quale Kandinskij definisce il rapporto tra interiorità ed esteriorità. La forma esteriore deve rispondere ad un criterio di necessità interiore, rinunciando al nello esteriore, convenzionale. Chi non ha fatto l’occhio a questo bello interiore lo trova naturalmente brutto, poiché l’uomo inclina generalmente all’esteriorità e non riconosce volentieri la necessità interiore”. La pittura deve prender esempio dalla musica e ottenere un “effetto psichico” corrispondente a questa.
In Kandinskij per giungere ad una composizione puramente pittorica fa uso di due elementi: il colore e la forma. La forma è la rappresentazione di un oggetto, di uno spazio astratto che ha una sua autonomia. Il colore non è soltanto una qualità della superficie, ma qualcosa che risplende all’interno rivelando l’essenza del mondo.
Ogni colore per Kandinskij ha un valore evocativo:
- il blu è il colore del cielo, della profondità;
-il giallo è caldo, energia;
-il rosso è ardente, è la forza sicura;
-il verde è quiete;
-il grigio è l’immobilità senza speranza;
-il viola è tristezza;
-il bianco è silenzio: “Un silenzio che improvvisamente riusciamo a comprendere. E’ la giovinezza del nulla o meglio un nulla prima dell’origine, prima della nascita. Forse la terra risuonava così, nel tempo bianco dell’era glaciale”;
-il nero è tragico silenzio: “Come un nulla senza possibilità, come la morte del nulla dopo che il sole si è spento, come un eterno silenzio senza frutto e senza speranza, risuona dentro di noi il nero”.
Ogni colore può essere inoltre potenziato o indebolito da una forma: le forme acute intensificano i colori squillanti (il giallo con il triangolo), mentre i colori che rendono il senso della profondità sono rafforzati da forme rotonde (l’azzurro con il cerchio), inoltre i colori che esprimono tenacia e passione si servono delle forme quadrate o con angoli retti (il rosso con il quadrato).




Alcuni cerchi, 1926, New York, Solomon R. Guggenheim Museum
Dall’ambiente grigio scuro emerge una forma primaria: il grande cerchio blu intenso circondato da una corona. Al suo interno è racchiuso un disco nero più piccolo, le loro circonferenze si toccano in un punto. E’ una matrice che genera in successione numerosi altri cerchi colorati, simili a coagulati trasparenti. Cerchi che si sovrappongono ad altri che mutando colore dove le forme si incrociano. Il cerchio è la forma più elementare, Kandinskij scrisse che è la sintesi delle più grandi opposizioni. Associa in una singola forma, e in un equilibrio, il concentrico e l’eccentrico.
5. KANDINSKIJ E LO SPAZIO – PSICHICO

Per Kandinskij la quarta dimensione può coincidere con uno spazio psichico è la nozione di profondità che il pittore vuole introdurre in pittura. Il quadro deve essere come uno spazio psichico e soglia di un incontro tra la propria impressione interiore e quella dell’osservatore: “Per parecchi anni lottai con tutte le forze per trovare il modo, la tecnica per attrarre lo spettatore dentro il quadro stesso, perché vi si mescolasse e ne diventasse parte”.
Il pittore ha la capacità di trasformare le proprie impressioni percettive eventi psichici particolari: dalle percezioni della realtà si passa immediatamente ad una risonanza psichica (esterno-interno) che mette in moto le corde dell’anima e le spinge all’espressione artistica ( interno-esterno). Tale esperienza interiore porta Kandinskij alla presa di coscienza del contenuto spirituale dell’arte e dei suoi mezzi espressivi: in particolare la doppia naturale MATERIALE (e dunque accessibile ai nostri sensi), e SPIRITUALE degli eventi pittorici lo conduce alla scoperta dell’astrattismo inteso come esibizione dei contenuti spirituali degli elementi compositivi (forma-colore). Anche la percezione dei colori nella tavolozza diventa una vera e propria esperienza spirituale: “Il colore è il tasto, l’occhio è il martelletto, l’anima è il pianoforte delle molte corde. L’artista è la mano che toccato questo o quel tasto, mette opportunamente in vibrazione l’anima umana”, scrive nello “Spirituale nell’arte”. L’atteggiamento esperienziale da cui partire per intraprendere il viaggio creativo è dunque la capacità di sapersi predisporre all’ascolto del fenomeno. La convinzione di una comunicazione a livello spirituale di tutti gli aspetti della realtà porta il pittore a mette in atto un atteggiamento percettivo capace di cogliere, al di là della distinzione fenomenica, un nucleo espressivo comune a tutte le cose questo significa arrivare alla definizione di una forma pittorica che non si fermi alla rappresentazione della scorza esteriore dei fenomeni, alla loro superficie visibile, ma che sia capace di portarne a esibizioni i contenuti espressivi: non è più l’oggetto in se ad attrarre l’attenzione percettiva del pittore, bensì la sua risonanza interiore (la legge della vita spirituale), in grado di entrare direttamente in comunicazione con la sensibilità creatrice dell’artista. L’importanza della percezione consiste nel fatto di portare Kandinskij alla consapevolezza di una nuova possibilità figurativa una forma d’arte che non faccia più riferimento alla rappresentazione dell’oggetto.
6. ELEMENTI PITTORICO – MUSICALI

Nello scritto teorico di Kandinskij “Punto e linea nel piano” si analizzano fondamentali scientifici della pittura fino a giungere alla costruzione di una vera e propria “scienza dell’arte” in grado di superare i limiti tra i diversi ambiti conoscitivi e artistici. Si concentra in particolari sugli elementi formali (punto, linea e loro interazioni nel piano). In questo testo il rapporto con la musica si fa sempre più stretto. La divisione tradizionale tra le due arti ( la musica come arte del tempo, la pittura come arte dello spazio) viene superata dalla programmatica definizione del punto come “la forma più concisa del punto di vista del tempo.



Interpretazione di kandinskij di un brano musicale attraverso punti e forme.
Ragionando a partire dal punto quale unità formale e principio di movimento, Kandinskij giunge a un accostamento quasi strutturale tra musica (interpretata come arte del movimento) e pittura. Il tempo (nel senso di misura del movimento) diviene così accanto allo spazio l’orizzonte di possibilità della creazione pittorica; la quale è data l’attestazione per la grafica musicale accostata alla modalità dell’espressione
7. SCHÖNBERG E LA DODECAFONIA

Schönberg oltre ad essere musicista si accostò anche all’avanguardia artistica; dipingendo quadri ed entrando in intima amicizia col pittore Kandinskij, col quale, insieme ad altri artisti, fondò il Cavaliere Azzurro. Collaborò con un importante saggio intitolato “Il rapporto col testo”, dove vengono affermati i principi estetici ed etici dell’espressionismo: Schönberg rigetta sia la riforma formalistica, sia quella che vuole interpretare la musica vocale in rapporto al senso letterale di un testo anzi che nella sua intima essenza “espressiva”, così come il compositore l’ha accolta in uno stato quasi di trance, “Nell’ebbrezza della sonorità iniziale delle prime parole”. In base a questi principi nasce l’opera più famosa di Schönberg “Pierrot Lunaire”, che si può considerare il manifesto dell’espressionismo musicale.
Pierrot Lunaire denuncia la crisi dell’uomo come soggetto, cioè dell’individuo, nell’alienazione della società che sta precipitando nella guerra.
Quest’opera teatrale mira a una forma di rappresentazione “totale”, nella quale l’idea di Kandinskij e di Schönberg coincidono nel proporre un teatro dove suono, colore, parole e azione mimica si fondono in un unico piano prospettico.
Dal punto di vista del linguaggio musicale, Schönberg è arrivato alla “atonalità” ossia la dissoluzione della tonalità.
A questo punto nasce nel compositore l’esigenza di riorganizzare i mezzi formali della costituzione musicale, nasce l’idea di un nuovo “metodo per comporre mediante 12 suoni che non stanno in relazione tra loro”.

Pierrot Lunaire: composta nel 1912 è l’opera più famosa di Schönberg per la novità degli impasti timbrici, per la sua carica espressiva, per la sua particolare tecnica vocale. E’ un ciclo di 21 brani su poesie. L’immagine romantica di Pierrot, eroe malinconico e triste, è deformata in smorfie, proiettata in immagini grottesche, ora ironiche, in visioni allucinate.
I brani sono raggruppati in tre parti comprendenti sette poesie ciascuna. Ogni parte è diversa dall’altra. Nella prima parte, Pierrot si presenta nella sua veste di poeta della sofferenza – ohimè – incantato dal pallido chiarore della luna che egli evoca immagini ricche di macabra ironia e vagamente morbosa….Nella seconda parte, pervasa da un tono angoscioso, il protagonista si immagina assassino, sadico, violatore di sepolcri; quindi è un ombra notturna in preda alla follia…” Nella terza e ultima parte, Pierrot si abbandona alla sdolcinata sentimentalità, alla buffoneria grottesca e alla nostalgia per i tempi più felici del passato.

8. L’OPERA TEATRALE E L’ARTE TOTALE

I contatti diretti con il mondo musicale si realizzano nell’opera teatrale di Kandinskij, in particolare la composizione scenica del SUONO GIALLO del 1909, ma non la vedrà mai rappresentata perché il progetto della messa in scena verrà poi interrotto dalla guerra. Kandinskij si era proposto di realizzare una scena d’arte teatrale, un’interazione di luce, movimento, colore, musica, danza, parole, che potessero moltiplicare la forza del suono interiore di ogni suo mezzo espressivo e coinvolgere tutti i sensi dello spettatore.
L’azione si apre con un canto (Sogni duri come la pietra…e rocce parlanti…/zolle come enigmi di domande insoddisfatte…/in alto si leva un invisibile…suono”) ma la trama non esiste: sono in tutto sei quadri i quali dal fondo scuro scaturiscono le luci che partono dal caos alla nascita del mondo sul quale poi scende un buio improvviso. Nell’opera, la ricerca dell’astrazione è parallela all’evoluzione che si registra nella pittura di Kandinskij in quegli anni (da pittura oggettiva a pittura soggettiva).
L’artista rinuncia ad una storia tradizionale e, anche se una figura umana (ma ridotta a manichini in calzamaglia colorata) ed elementi di passaggio, crea un libero gioco di movimenti, suoni, come se animasse un dipinto.
Kandinskij riesce a realizzare in modo parziale quello a cui anche Schönberg aspirava in “La mano felice” del 1913: mettere in scena un evento cosmico per un palcoscenico che non è più specchio del mondo reale, ma dell’altrove dell’essere al di là di ogni apparenza.
BIBLIOGRAFIA

- Kandinskij, da Arte Dossier, di Eva di Stefano, ed. Giunti

- Kandinskij, di Matteo Chini, ed. Giunti

- Riflessioni su Kandinskij e la musica, di Matilde Battistini

- Storia dell’arte italiana, dalle avanguardie storiche ai giorni nostri, tomo secondo, di Piero Adorno, ed. G. D’Anna

- Enciclopedia della musica e dello spettacolo, enciclopedia Garzanti

- L’estetica musicale dal settecento ad oggi, ed. Einaudi

-Lo spirituale nell’arte, Vasilij Kandinskij, ed.